All’udienza del 10 aprile 2018 il sostituto procuratore generale della Corte di Cassazione, Dott. Marcello Matera, nella sua requisitoria, ha richiesto alle Sezioni Unite di trovare un punto di equilibrio con riguardo ai criteri indicati dalla sentenza n° 11504 del 2017 della Sez. 1° della medesima Corte (c.d. sentenza Grilli), in base alla quale l’assegno divorzile sarebbe dovuto esclusivamente al coniuge che dimostri di non essere “economicamente autosufficiente”, superando la pregressa interpretazione, risalente alla storica sentenza n° 11490 del 1990, che considerava l’assegno divorzile ancorato al mantenimento del “pregresso tenore di vita” goduto durante il matrimonio dal coniuge più debole economicamente.

Secondo il procuratore, infatti, ogni situazione dovrebbe essere valutata caso per caso e non sottoposta ad un unico criterio generale che ribalterebbe, di fatto, tutta l’evoluzione giurisprudenziale pregressa e che potrebbe risultare, in alcuni casi, come lesivo di situazioni da proteggere: <<La premessa è che ogni singolo giudizio richiede necessariamente la valutazione delle peculiarità del caso concreto perché l’adozione di un unico principio di giudizio, come quello stabilito dalla sentenza Grilli corre il rischio di favorire una sorta di giustizia di classe. (…) Si può anche convenire sul fatto che il criterio dell’autosufficienza può essere preso come parametro di riferimento, ma non si può escludere di rapportarsi anche agli altri criteri stabiliti dalla legge quali la durata del matrimonio, l’apporto del coniuge al patrimonio familiare, il tenore di vita durante il matrimonio>>.

Sarebbe auspicabile, da parte del procuratore, che nello stabilire l’erogazione o meno dell’assegno divorzile e del suo ammontare venissero prese in considerazione anche <<tutte le sfumature che hanno caratterizzato la vita familiare, così valorizzando i sacrifici professionali che uno dei due coniugi ha fatto per la famiglia o per favorire l’altro coniuge.>>

Non è un caso, del resto, se sono state già registrate altre sentenze, anche di merito, che hanno tentando di ammorbidire i rigidi confini dettati dalla citata sentenza del 2017, disattendendo in parte il dettato della Cassazione. La decisione chiarificatrice delle Sezioni Unite, quindi, appare quanto mai urgente e necessaria.

È opportuno, quindi, ai fini di individuare le problematiche sottese a tale decisione, ripercorrere brevemente l’evoluzione giurisprudenziale attorno alla funzione dell’assegno divorzile.

Secondo l’articolo 5, comma 6, della legge sul divorzio, l’assegno divorzile sarebbe dovuto al verificarsi delle seguenti condizioni:

– il richiedente non abbia i mezzi adeguati per vivere (o perché privo di reddito o perché non retribuito sufficientemente);

– il richiedente non abbia comunque la possibilità di procurarsi i mezzi adeguati per vivere per ragioni oggettive.

Con la sentenza che pronunciava, quindi, lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale aveva il compito di quantificare anche l’ammontare dell’assegno divorzile tenendo conto di alcuni criteri tra i quali la condizione dei coniugi, le regioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio e il reddito di entrambi.

La sentenza n° 11490 del 1990 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione introduceva un altro presupposto ai fini dell’erogazione dell’assegno divorzile, che resterà valido fino alla predetta sentenza del 2017 e cioè il “tenore di vita” analogo a quello avuto in costanza di matrimonio: <<il presupposto per concedere l’assegno è costituto dall’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (…) a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, senza che sia necessario uno stato di bisogno dell’avente diritto, il quale può essere anche economicamente autosufficiente, rilevando l’apprezzabile deterioramento, in dipendenza del divorzio, delle condizioni economiche del medesimo che, in via di massima, devono essere ripristinate, in modo da ristabilire un certo equilibrio.>>

Con la sentenza n° 11504 del 2017, al contrario, l’assegno divorzile potrà essere riconosciuto solo al coniuge che dimostri di non poter essere economicamente autosufficiente.

Secondo la Prima Sezione della Suprema Corte, infatti, i tempi sarebbero ormai cambiati e richiederebbero il superamento <<della concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva>>, essendo <<ormai generalmente condiviso nel costume sociale il significato del matrimonio come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché come luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto tale dissolubile. Si deve quindi ritenere che non sia configurabile un interesse giuridicamente rilevante o protetto dell’ex coniuge a conservare il tenore di vita matrimoniale>>.

In base a tale impostazione, con la sentenza di divorzio  si estinguerebbe non solo il rapporto matrimoniale sul piano personale, ma anche su quello economico-patrimoniale.

Una volta accertato che il coniuge richiedente, quindi, risulti economicamente indipendente o effettivamente in grado di esserlo, non si ravviserebbe più la necessità dell’assegno di mantenimento una volta dissolto qualsiasi legame.

Inoltre, in attesa della risposta delle Sezioni Unite della Cassazione, ai fini dell’erogazione dell’assegno divorzile il Giudice dovrà far riferimento esclusivamente al parametro della “indipendenza o autosufficienza economica del coniuge richiedente”, al quale è stato attribuito l’onere di provare i redditi di qualsiasi specie, i cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari, le capacità e le possibilità effettive di lavoro, in relazione alla salute, all’età, al sesso e al mercato di lavoro indipendente o autonomo e la stabile disponibilità di una abitazione; il semplice fatto di non possedere i mezzi adeguati per vivere (o di non avere un lavoro) non sarebbe più sufficiente ai fini dell’assegno divorzile, dovendo il coniuge richiedente anche dimostrare l’impossibilità di essere autosufficiente per ragioni oggettive.

Sebbene detta decisione della Corte di Cassazione sembrerebbe rivoluzionaria, è opportuno ricordare che l’orientamento giurisprudenziale sul riconoscimento del diritto all’assegno di mantenimento è cambiato gradualmente nel tempo, coerentemente ai cambiamenti sociali avvenuti. Fino a trent’anni fa, infatti, nel 60% dei casi venivano riconosciuti assegni divorzili ai richiedenti mentre la percentuale è scesa fino al 19% dello scorso anno.

Non resta, quindi, che attendere la decisione delle Sezioni Unite della Corte Suprema su tale delicato argomento.